mercoledì 12 marzo 2014

Jobs Act e trentenni

Jobs Act e trentenni

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Adi Sara Mauri

L’Italia A l’unico paese in cui gli stage non sono adeguatamente regolamentati. Mentre Francia e Germania guardano al futuro, l’Italia resta affacciata alla finestra. La situazione emersa nei giorni scorsi dai dati di Almalaurea fa pensare.

E se le norme sugli stage influissero pesantemente sui dati della disoccupazione giovanile? E se i dati ne fossero solo una logica conseguenza? Un nesso c’A: e i collegamenti balzano agli occhi.

Un trentenne oggi di stage ne ha fatti, spesso piA di uno. Ma se sono condivisibili gli stage curricolari, dovrebbero essere regolamentati quelli extra curricolari, ovvero quegli stage che si fanno una volta usciti dall’universitA.

Passeggiando nei centri commerciali si vedono sulle vetrine dei negozi cartelli affissi: “cercasi stagista”. Ma quanto tempo serve per imparare un mestiere? Bisognerebbe distinguere da lavoro a lavoro. Si dovrebbe limitare il numero massimo di stage che una persona puA fare: non A possibile vedere curriculum con 6 stage.

Io con gli stage ho imparato, senza stage non sarei quella che sono, con gli stage sono cresciuta. Ma gli stage sono il problema della mia generazione: siamo noi, i trentenni, quelli che hanno accumulato stage senza essere assunti, poi. Siamo noi, i trentenni, quelli che se ne vanno dall’Italia perchA qui non vedono prospettive.

Lo strumento stage A uno strumento importante, se utilizzato bene. Consentirebbe l’ingresso nel mondo del lavoro, permetterebbe di acquisire competenze chiave per inserirsi nel contesto lavorativo. Ma, se non adeguatamente regolato, rischia di creare solo danni e ridurre occupazione.

Se io rifiuto uno stage a 300 euro al mese ci sarA qualcun’altro subito pronto a prendere il mio posto. A meglio fare qualcosa per pochi euro che stare seduti sul divano come i Neet. Meglio l’ennesimo stage che stare “senza fare”. Se io non accetto uno stage (perchA A la sola cosa che viene offerta) sul curriculum rimane in buco: e questo buco pesa su un’ipotetica futura assunzione.

“Che hai fatto da febbraio 2012 a giugno 2012?” – ti chiedono. E tu devi rispondere. E che cosa rispondi se non hai fatto nulla? Questo A il problema: si accettano, ormai, condizioni svantaggiose pur di lavorare. Si arriva persino a pagare per lavorare: sA, perchA, se si calcolano le spese, a quei 300 euro guadagnati al mese, si vanno a sottrarre 100 euro di trasporto, almeno 100 euro per il cibo.

Il compenso, per un lavoro di 8 ore al giorno per 5 giorni a settimana per 4 settimane diventa 100 euro. E non A che con uno stage si lavora di meno, si ha solo meno esperienza. Su chi gravano le spese? Sulle famiglie che, pur di non vedere i propri figli stare senza fare niente, pagano per farli lavorare. E fanno sacrifici.

Uno stage fa bene, due anche. Ma quando gli stage diventano 3,4,5,6? Le spese economiche di un figlio a carico si possono sostenere solo per un periodo limitato di tempo, non per sempre. Tuttavia, se non si fa qualcosa il “per sempre” rischia di diventare una realtA opprimente. E le famiglie che non si possono permettere questo investimento sul futuro?

Vedono i loro figli laureati lavorare ai call center per tirare su qualche soldo e osservano i loro curriculum allontanarsi dalle prospettive desiderate. E allora regoliamo queste norme, adesso che possiamo, ora che l’attenzione A tutta sul lavoro.

Per creare occupazione si dovrebbero regolare gli stage extra curricolari, non solo le altre tipologie contrattuali. Che il jobs act non si dimentichi dei trentenni, di quelli che, come me, sul curriculum hanno 5 stage.

twitter@SM_SaraMauri

 

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